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Punti di Interesse/Audioguida – visit-fratta

Punti di Interesse/Audioguida

 

Villa Badoer
di Andrea Palladio

La villa fu commissionata da Francesco Badoer, al grande architetto vicentino Andrea Palladio.
La data di costruzione non è certa, ma nel 1557 doveva esistere già il corpo padronale perchè appare inserito nella mappa redatta nel medesimo anno raffigurante le valli di San Biagio e di Valdentro.
La celebre villa compare nei Quattro Libri del Palladio del 1570, dove è rappresentata con alcune differenze rispetto alla configurazione odierna.
Al centro di un verde prato chiuso da rustici si erge l’edificio residenziale dalla semplice volumetria con monumentale pronao a frontone preceduto da una larga, articolata scalinata; ai lati si protendono a semicerchio le barchesse su colonnine (la “barchessa” nella villa veneta è un’ala laterale adibita ad abitazione o servizi). Sono queste che, con la loro ampia curva intesa a racchiudere lo spazio, caratterizzano l’edificio e ne fanno una delle realizzazioni palladiane più alte.La villa venne decorata, e lo ricorda il Palladio stesso in uno dei suoi libri, dal Giallo Fiorentino che vi dipinse, nel pronao e negli interni, fantasiose grottesche recuperate durante i lavori di restauro compiuti dall’Istituto Regionale per le Ville Venete.
La Villa dichiarata Monumento Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, è proprietà della Provincia di Rovigo che ha provveduto ad un intelligente restauro conservativo per cui è ora possibile visitarla completamente.
É il naturale contenitore per l’organizzazione di importanti riunioni e convegni, mostre, rappresentazioni teatrali, liriche, di balletto; mentre nelle barchesse trova dimora il Museo Archeologico Nazionale, con l’esposizione di reperti archeologici del periodo dell’età del bronzo e di grande rilevanza per tutta l’Europa.

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Museo Archeologico Nazionale
Villa Badoer – Barchesse

Il Museo Archeologico espone i reperti delle ricerche di superficie condotte negli insediamenti protostorici del territorio. Di rilievo sono le testimonianze provenienti dall’abitato di Frattesina. Si tratta di un insediamento datato tra il XII e il IX (forse inizi dell’VIII) sec. a.C. attribuibile alla fase finale dell’età del Bronzo (cultura protovillanoviana) ed agli inizi dell’età del Ferro. La fase di maggior floridezza dell’abitato e quella a cavallo tra i secoli XI e X a.C., caratterizzata da numerose attività di artigianato in parte legate a materie prime di provenienza orientale e nord europea. Significative sono le testimonianze relative alla lavorazione dei metalli; basti pensare che Frattesina è il sito tra quelli dell’età del Bronzo italiana che ha restituito il maggior numero di matrici per fusione, molte delle quali si trovano in questo museo. Qui è esposto anche uno dei tre ripostigli da fonditore (oggetti in bronzo deteriorati destinati al riciclaggio), nel quale compaiono fibule (spille), coltelli, bottoni, frammenti di pani di bronzo e numerose palette con immanicatura a cannone. Se ornamenti, attrezzi da lavoro e armi erano fatti quasi esclusivamente in bronzo, non mancano oggetti in oro come una lamina (forse parte di un disco) e frammenti di fettuccia. Altre attività artigianali sono la lavorazione del vetro, dell’avorio e dell’ambra. Il vetro, con cui si fabbricavano soprattutto conterie. era di produzione locale, ma la nascita di questa attività in loco è da legare alla frequentazione dell’antico delta padano da parte di commercianti, artigiani e prospettori provenienti dal Mediterraneo Orientale (Cipro ad esempio). L’ambra, rinvenuta in vaghi di diverse fogge, tra le quali il cosiddetto tipo “Tirinto”, proveniva dalle coste del Baltico e giungeva nel centro artigianale di Frattesina tramite i valichi delle Alpi orientali e la valle dell’Adige, per essere convogliata in un circuito di traffici che coinvolgeva l’Italia peninsulare, la Sicilia, l’Egeo e le coste del Mediterraneo orientale. Ulteriore testimonianza della complessa rete di relazioni che fa di Frattesina un vero e proprio port of trade, è l’avorio di elefante, di cui si rinvengono pezzi in fase di lavorazione assieme a prodotti finiti soprattutto pettini, finemente decorati ad incisione. Relative agli usi funerari sono le urne cinerarie, qui esposte, provenienti da una delle due necropoli di Frattesina: quella di loc. Narde. Il costume di cremare i defunti diviene quasi esclusivo proprio nell’età del Bronzo finale. Le ceneri erano raccolte in vasi di terracotta, in genere di forma biconica.
Accompagnavano il morto oggetti personali come fibule ad arco semplice, fuseruole perle in pasta vitrea per le donne e rasoi e fibule ad arco serpeggiante per gli uomini.

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Villa Grimani Molin ora Avezzù Pignatelli
Scuola Palladiana – Villa della Carboneria

La presenza, vicinissima, della stupenda palladiana Badoera ha certamente ispirato l’ignoto architetto che, riguardando sempre al Palladio, ma soprattutto a quello di una realizzazione più lontana, la Malcontenta, ha tracciato questo piacevole, dignitosissimo edificio che arrichisce Fratta di uno degli angoli più suggestivi del Polesine.
In esso la Badoera è la incontrastata protagonista che tuttavia riesce a realizzarsi compiutamente anche attraverso le altre presenze che la contornano: l’armonica piazza di fronte e Villa Grimani Molin da un lato. Nelle mappe del Catastico veneto del 1775, la proprietà di Villa Grimani Molin risulta essere del nobil uomo Giovanni Francesco Correr. Nel complesso si nota un netto distacco fra la corte signorile e la corte di lavoro. Nella prima spicca l’edificio padronale con due barchesse ai lati, disposte separate e ad esso ortogonali. A differenza della vicina Villa Badoer, orientata in senso est-ovest, la casa dominicale di Villa Grimani Molin è orientata in senso nord-sud, come è consueto per gli insediamenti in villa. Non comprimaria quest’ultima, dunque, ma piuttosto componente attiva e determinante di un insieme che nella sua sintesi raccolta trova pochi confronti nel Veneto. Il nesso, tra le due ville vicine, pare ritrovare una spiegazione anche nelle affinità di certe decorazioni interne che concordemente la critica attribuisce alla medesima scuola.Infatti sia il Giallo Fiorentino che operò nella vicina Villa Badoer, che il cosidetto pittore “Anonimo Grimani” a cui sono attribuiti gli affreschi di Villa Grimani Molin, provengono entrambi dalla cerchia di Giuseppe Porta Salviati.
Commitente dell’opera è Andrea da Molin, genero del Grimani.
I temi dipinti dall’ “Anonimo Grimani” si ispirano a soggetti già proposti dal Veronese.

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Villa e Parco Labia

La villa viene edificata probabilmente nel luogo dove sorgeva il palazzo dei procuratori di San Marco, che gestivano il “retratto della Frattesina”, una vasta area a sud-est di Fratta, bonificata dagli Estensi e passata alla Serenissima Repubblica dopo la pace di Bagnolo del 1484.
“La Frattesina” viene venduta 170 anni dopo alla famiglia Labia, per 1800 ducati, per far fronte alle ingenti spese militari che Venezia si trova a sostenere nella guerra contro i Turchi.
Del notevole complesso settecentesco di Villa Labia rimangono oggi solamente la chiesetta e parte del grande giardino. La casa settecentesca, colpita da un bombardamento nel 1945, viene abbattuta l’anno successivo, per essere ricostruita nel 1956 secondo modi settecenteschi, ma con una conformazione abbastanza diversa dalla precedente. L’antico assetto è documentato da una fotografia del 1901.
Il parco ottocentesco di villa Labia, di gusto romantico, presumibilmente progettato da Osvaldo Paletti, fu realizzato a corredo della villa settecentesca.
Circondato da un muro di cinta, si estende
per una superficie di circa 15.000 metri quadrati. Al suo interno si trovano alcuni alberi rari e due ghiacciaie, oltre a un canale sotterraneo, proveniente dallo Scortico, che sfocia in un laghetto.
L’edificio è separato dalla strada dall’imponente muro di cinta provvisto di inferriate e cancelli in ferro battuto, realizzato probabilmente nel ‘900.
La villa, appartenuta originariamente ai Conti Labia e, nel 1775, ad Anzolo Maria Labia, diviene proprietà comunale nel 1972 ed è ora adibita a sede della Scuola Media Statale “A. Palladio”.

Il parco è aperto al pubblico tutti i giorni dal lunedi di Pasqua al 30 ottobre dalle ore 9,00 alle ore 19,00 

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Monumento ai Carbonari di Fratta

Il monumento ai Carbonari di Fratta Polesine è il primo monumento sorto in Italia dopo la liberazione dalla dominazione austriaca del 1866. Per la sua costruzione furono presentati 4 progetti e ala fine fu scelto quello del prof. Andrea Provini di Rovigo.

Venne inaugurato il 16 giugno 1867 e i frattensi lo definirono “Colonna dei Martiri”

L’esecuzione dell’opera fu affidata allo scultore di Verona Grazioso Spazzi. L’epigrafe è stata dettata da Don Costante Businaro, patriota di Adria che partecipò alla difesa di Venezia.

L’opera è realizzata in marmo di Sant’Ambrogio in Valpolicella, la sua forma pentagonale ricorda la Stella d’Italia. Cinque grosse catene circondano il cippo, simbolo della schiavitù austriaca. Una colonna tronca, sormontata da un’urna cineraria è emblema della vita stroncata dei nostri martiri. Cinque palme legate da nastri marmorei, rappresentano il martirio e l’esaltazione della fede. Cinque fiaccole capovolte indicano i sogni spezzati.

L’epigrafe fronte strada indica: Fratta da Spielberg Venezia Lubiana l’eco doloroso dei suoi martiri del 1821 raccogliendo in questo marmo servire sua storia. Negli altri lati sono incisi i nomi dei condannati: Antonio Villa, Fortunato Oroboni, Don Marco Fortini, Giovanni Monti,Giacomo Monti, Antonio Poli, Federico Monti, Vincenzo Zerbini e Domenico Grindati.

 

Palazzo Lippomano

Palazzo Lippomano (secolo XVII. – XVIII.) rappresenta il cuore di Fratta Polesine. Sia perché situato in pieno centro storico di fronte alle splendide ville Molin Avezzù e Badoer, sia perché all’interno dei suoi portici si trovano diverse attività commerciali. La famiglia che ha dato il nome a questo edificio era di origine ebraica, arrivata a Venezia fra il 1378 e il 1380. Da una mappa storica del 1557 si ipotizza l’esistenza a Fratta del palazzo. Una più sicura identificazione, si trova nei catastici veneziani del 1775, con proprietario Gasparo Lippomano. Lo stabile, di assoluto pregio architettonico, ha un piano interrato, due piani fuori terra e un sottotetto, è caratterizzato da un corpo centrale che si conclude a timpano. La forma è quella dei tipici palazzi veneti. Nel tempo sono state aggiunte due ali al corpo centrale, collegate da una loggia porticata, sormontata da balaustra con sculture in cotto di gusto rococò. Il porticato ha assunto le forme attuali intorno al 1856. In un dispaccio del 1621 al doge di Venezia e una documentazione archivistica, dimostrano la presenza di una caffetteria sui locali del piano terra già a partire dagli inizi del XIX. secolo. All’inizio si chiamava San Marco, poi Caffè La Fenice e dal 1896 con l’avvento della famiglia Matteotti prese il nome di Caffè Commercio. Fu in questo bar che giunse il biliardo ancora prima che a Rovigo.

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Chiesa di San Bartolomeo

Della chiesa rimane, come ultimo vestigio, una lapide rosata con una iscrizione e lo stemma del fondatore.
Le fondamenta dell’edificio furono poste il 6 agosto 1338.
Sorse per iniziativa di un’influente personalità della corte estense, Riccobono Gonfalonieri da Brescia.
Fu il carattere privato del luogo di culto ad accelerarne la decadenza, peraltro già iniziata nel XVI secolo, e la successiva scomparsa.
Questa lapide è attualmente la più significativa testimonianza di epoca medioevale presente a Fratta.

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Villa Dolfin
Sede Casa Divina Provvidenza

Situata nel centro del paese, è composta da una casa dominicale con le due ali simmetriche e due cappelle gemelle. Censita nel Catastico veneto del 1775, Villa Dolfin, è esempio di struttura archittettonica del 1700 dall’elegante facciata suddivisa in tre piani con imponente scalinata d’accesso al piano nobile e il tipico abbaino con timpano neoclassico che slancia la mole dell’edificio. La stessa accuratezza di finiture della facciata principale si riscontrano anche in quella posteriore, in quanto la villa era fornita di un accesso posteriore dato dal canale Valdentro all’epoca navigabile. A questa si aggiungono una serie di edifici moderni, una Chiesa dedicata alla Sacra Famiglia, e altri edifici di servizio, che hanno subito nel corso del tempo profonde ristrutturazioni. La Casa è un Centro per persone diversamente abili e Casa di Riposo. Il Centro venne fondato dal Beato Luigi Guanella nel 1900. Egli comperò Villa e fondo di 730 mq, dei Conti Dolfin.
La sua conduzione è affidata, alle suore Guanelliane, coadiuvate nelle mansioni quotidiane da personale laico con diverse professionalità. La vita, delle ospiti, si alterna tra momenti trascorsi nei gruppi famiglia e attività riabilitative, secondo gli insegnamenti spirituali e pedagogici del fondatore.

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Chiesa di S. Francesco

Esistente sin dagli inizi del XVI secolo, la chiesa, originariamente dedicata a S. Maria Assunta, costituisce un ampliamento di una precedente chiesa risalente agli inizi del 1100. Fu sede della Confraternita dei Battuti Bianchi, così chiamati in quanto portavano una cappa di stoffa bianca con un cappuccio calato sul volto e luogo privilegiato per le riunioni delle confraternite del S. Rosario e del Cordone di S. Francesco. I frati minori della Provincia del Santo di Padova ressero questa fabbrica, che intitolarono a S. Francesco, dal 1501 fino al 17 settembre 1656, anno in cui il conventino fu soppresso dalla Serenissima.
In una cripta sotto l’altare di destra sono conservate le spoglie del letterato, matematico e scrittore Cav. Giovanni Maria Bonardo, vissuto a Fratta nella seconda metà del 1500, fondatore dell’Accademia dei Pastori Frattegiani. Tra le opere di pregio contenute all’interno sono da ricordare il bellissimo e artistico altare ligneo centrale, attribuito al rodigino Caracchio e la pala dell’Assunta al centro dell’altare, attribuita al Maffei.

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Palazzo Lippomano Monti ora Viaro
Villa della Carboneria

Le caratteristiche architettoniche di Palazzo Lippomano Monti permettono di farne risalire la costruzione al XVIII secolo (F.B.).
Tuttavia altre fonti daterebbero la costruzione dell’edificio alla prima metà del seicento, su commissione della famiglia Labia.
Il complesso sorge e si articola all’angolo fra due strade che confluiscono in uno slargo, dove si affaccia la chiesa parrocchiale di Fratta.
L’edificio si compone di un corpo centrale elevato su tre piani, con copertura a padiglione, e di due ali curve che abbracciano il piccolo cortile a formare un emiciclo.
Nel Catasto austriaco del 1852 la casa è proprietà di Giovanni Monti, livellario del nobile Gaspare Lippomano; il rustico, invece, è proprietà del fratello Giacomo, anch’esso livellario del medesimo Lippomano.
I fratelli Monti erano entrambi affiliati alla Carboneria.
Il pronipote, Giovanni, nato in questo palazzo nel gennaio del 1900, dopo una lunga carriera militare come pilota stabilisce e detiene ancora oggi il record di velocità con idrovolante (500 Km/h), come testimonia la lapide visibile nella facciata nobile.

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Chiesa Arcipretale
dei Ss. AA. Pietro e Paolo

La chiesa parrocchiale è dedicata ai SS. Apostoli Pietro e Paolo.
Eretta nell’area di una chiesa già esistente nel 1123, su disegni di Zuane Bellettato, nel 1552.
Fu terminata nel 1682, come risulta da una lapide nella sua facciata. L’edificio è a croce latina ed è una delle più imponenti chiese della provincia di Rovigo: è lunga 55 metri, larga 18 e alta 25. La larghezza ai transetti è di 35 metri.
L’interno, armonicamente settecentesco, è adorno di affreschi tiepoleschi di Francesco Zugno, di ricchi lavori di intaglio e di importanti sculture veneziane del settecento.
Possiede inoltre un prezioso baldacchino e ricchi paramenti.
Tra le opere più interessanti vi sono: gli affreschi del soffitto di Francesco Zugno; le stazioni della via Crucis probabilmente dello stesso Zugno, recentemente trafugate e sostituite con altre di autore locale; la bussola della porta maggiore con angeli, fregi, emblemi e simboli, attribuita ad Andrea Brustolon; le statue marmoree di S. Alessio e S. Giuliana Falconieri (1783) di Giovanni Marchiori; S. Benedetto e S. Scolastica di Giovanni M. Morlaiter; i due grandi cherubini che adornano l’altar Maggiore sono di P. Baratta e Marino Groppelli; tutte le statue delle pareti attorno alla chiesa (1743) (esclusa quella di S. Giovanni Bosco) sono di Tommaso Bonazza; il baldacchino volante (1783) è lavoro d’intaglio di Sante Baseggio; il pulpito con la bella scena di Gesù fra i Dottori(1859) – la Cantoria dell’organo, con colonne, capitelli, putti, emblemi – il parapetto dell’altare dei SS. Quaranta Martiri, sono preziose opere di intaglio dorato di Luigi Voltolini da Lendinara.
Vi sono inoltre alcune tele, di buoni autori, tra le quali: la Nascita di Gesù e l’adorazione dei Magi di Mattia Bortoloni. la “Circoncisione” di Ippolito Scarsella; la Pala di San Nicola da Bari di G.B. Buratto; l’Estasi di S. Antonio di Pietro Liberi; la Pala dei SS. Quaranta Martiri di ignoto autore ferrarese.

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Casa Canonica

La Chiesa parrocchiale, dedicata ai SS. Apostoli Pietro e Paolo, viene costruita tra il 1552 e il 1682 sull’area di una precedente chiesa, già documentata nel 1123. La canonica è stata costruita nel 1716 e la sua architettura appare riconducibile agli schemi tipici delle case dominicali dello stesso periodo presenti sul territorio frattense. La casa si eleva su due piani, più un sottotetto e una cantina interrata. La pianta è tripartita, con sala centrale passante. Il fronte meridionale presenta un portale al piano nobile ornato da un fastigio orizzontale e provvisto di un balcone con parapetto in ferro battuto; due pinnacoli sulla copertura evidenziano il settore centrale. Tali elementi sono assenti sul fronte settentrionale, provvisto di un balcone con balaustra in pietra e di due camini agettanti. Le facciate trovano conclusione in un cornicione modanato.
La casa presenta notevoli similitudini architettoniche con il vicino Palazzo Monti, che insieme racchiudono al centro la Chiesa parrocchiale.

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Villa Oroboni
Villa della Carboneria

Questa Villa sembrerebbe stilisticamente risalire al primo settecento (o all’ultimo seicento) e presenta uno sviluppo asimmetrico per il mancato completamento della sua parte ad occidente. Possiede due facciate pressochè identiche, con un’unica differenza e cioè che quella a mezzogiorno è ravvivata anche da un balcone, cui sul lato settentrionale corrisponde una semplice finestra. Una cornice a dentelli orna i timpani superiori e scorre lungo il sottotetto, al di sopra delle finestre ovali dei granai. Si accede al piano superiore con una scala a forbice che si divide dopo la prima rampa. All’altezza delle finestre del primo piano erano visibili fino a pochi anni fa due stemmi comitali in cui era possibile scorgere la traccia di una cicogna e di un angelo (matrimonio Oroboni-Angeli). La villa è nota per la tragica vicenda del conte Antonio Fortunato Oroboni, patriota carbonaro, arrestato nella notte tra il 6 e 7 gennaio del 1819 e morto nel carcere dello Spielberg.
La villa è in fase di prossimo restauro.

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Palazzo Dolfin Boniotti ora “Manegium”


La casa padronale, di forma allungata, si eleva su tre piani dei quali l’ultimo sottotetto, destinato in origine a granaio. L’assetto planimetrico è quadripartito, con una sala passante spostata verso ovest, rispetto al centro dell’edificio. La facciata meridionale è rivolta verso lo scolo Valdentro, mentre quella settentrionale prospetta verso il cortiletto interno. La villa presenta caratteri tali da ricondurne la costruzione al XVI secolo o, comunque, una sua radicale trasformazione, al XVIII secolo, con successivi rimaneggiamenti nel XIX secolo (F.B.).
Il fabbricato è stato oggetto di donazione da parte degli eredi Boniotti verso il Gruppo culturale e di ricerca “II Manegium”, gruppo di volontariato Onlus che si occupa di ricerche storiche, artistiche, archeologiche ed etnografiche nell’ambito del territorio in antico chiamato appunto “Manegium”.
Nel Palazzo, completamente restaurato, trovano ora sede definitiva: il Museo Etnografico sulla civiltà del lavoro in Polesine; una mostra storico-documentaria sulla Carboneria polesana; una mostra storico-documentaria su Giacomo Matteotti; una mostra sulla religiosità popolare; una raccolta di animali e di uccelli imbalsamati.

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Palazzo dei Villa Cornoldi ora Fanan
Villa della Carboneria

La costruzione sembra poter risalire al primo settecento. La proprietà è all’epoca del notaio Francesco Villa, come testimoniano gli stucchi della sala superiore che ne riprendono l’insegna, contraddistinta da una torretta con ai lati le iniziali F e V, sormontata da una bandiera con la lettera N. Il dato appare confermato dal Catastico veneto del 1775.
Il complesso è costituito dall’edificio dominicale e da una barchessa separata, posta perpendicolarmente ad esso, lungo il Valdentro.
La porzione di terreno compresa fra le due costruzioni è ora adibita a giardino. Il complesso è cinto da un muro.
Agli inizi del secolo XIX, la villa è più volte stata teatro di riunioni Carbonare, tanto che il 12 dicembre 1818 vi viene arrestato Antonio Villa, nipote di Francesco, carbonaro polesano, morto nel carcere dello Spielberg con il suo concittadino e amico Antonio Fortunato Oroboni.
Nel Palazzo, di recente restaurato, si trova la sede di una delle più importanti collezioni musicali private d’Italia.

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Villa Davì ora Guzzon Zanobbi
Villa della Carboneria

Il complesso è composto di tre fabbricati disposti in linea: la casa dominicale, il piccolo oratorio e la barchessa. Separato, è presente un piccolo rustico dai caratteri neogotici. L’edificio padronale è leggermente arretrato rispetto alla strada, sulla quale è rivolto il fronte principale; sul retro si stende un piccolo parco, nel quale sono presenti delle statue ed un pozzo, circondato da un fossato, che nel lato est segna il confine con Villa Oroboni. Semenzato ne ipotizza un’origine seicentesca, rilevabile da elementi tra i quali spicca una trifora, composta da tre portali a tutto sesto, che si apre centralmente, al piano nobile. L’edificio pare aver subito dei rimaneggiamenti durante l’Ottocento. Nel Catastico veneto del 1775 il complesso risulta proprietà di Domenico Vincenzo Davì e dei suoi fratelli. Nel 1852, in base al Catasto austriaco, appartiene ancora alla famiglia Davì. Nelle mappe del Catasto austriaco del 1852 l’edificato appare composto dalla casa padronale, dalla cappella e dalla barchessa, allineate lungo il fronte meridionale. Ora la Villa appartiene alla famiglia Guzzon Zanobbi.

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Casa Matteotti


Negli anni fra le due guerre un’altro coraggioso frattense osò opporsi all’evento di un nuovo dominatore pagando con la vita l’amore per la giustizia e per la libertà: Giacomo Matteotti (1885-1924).
Laureato in giurisprudenza, Matteotti militò nel partito socialista: intelligente, zelante ed appassionato sostenitore dei diritti delle classi più umili, venne eletto deputato nel Collegio di Ferrara. Per aver denunciato i brogli elettorali che portarono al potere il partito fascista, Matteotti fu ucciso in maniera vile e feroce il 10 giugno 1924 ed ora riposa in un austero mausoleo nel cimitero di Fratta. La Casa, di origine probabilmente settecentesca, sembra aver subito alterazioni e aggiunte soprattutto durante un rimaneggiamento ottocentesco e del 1933.
La dimora di Giacomo Matteotti è diventata Casa Museo e nel dicembre 2017 è stata riconosciuta monumento nazionale.

 

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Palazzo Campanari
Sede Municipale

Villa Campanari appare nelle mappe del Catastico veneto del 1775, dove è raffigurata la casa dominicale, posta lungo la strada che costeggia l’argine destro del fiume Scortico. La proprietà è assegnata a Domenico Campanari ben oltre il 1852. L’edificio è formato da un massiccio corpo centrale sviluppato su tre piani e da due ali laterali più basse poste in linea con il fronte orientale e arretrate rispetto a quello occidentale. L’accesso al piano rialzato è consentito da una scala esterna a due bracci. La facciata principale è coronata da un frontone semicircolare enfatizzato da un aggetto della muratura del corpo centrale. Al centro della facciata si sovrappongono tre portali ad arco. All’interno, nel corso degli anni, i caratteri originari dell’edificio sono andati completamente perduti a seguito di vari lavori di ristrutturazione effettuati per adattare la dimora a sede municipale. Oltre alla casa dominicale, si trovano sul retro, nel cortile interno, un deposito ed una barchessa che una volta fungevano da magazzino e da abitazione per i coloni.

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Chiesa Parrocchiale di Paolino


La storia dell’oratorio di S. Maria del Rosario di Paolino va di pari passo con quella della Villa Corner, ora Bellettato. Risulta presente già nel 1552, quando il Conte Marcantonio Cornaro abitava la villa e disponeva, fra i suoi beni, anche dell’oratorio privato. Il complesso è situato in prossimità del Canalbianco, all’estremo sud del territorio comunale di Fratta Polesine, e rappresenta lo sforzo costruttivo della famiglia Corner lungo il Canalbianco completato da una seconda “Cà Cornera” in località Zaffarda, “La Palazzina” in località Cà Moro di S.Bellino e, a Canda, Villa “Nani Mocenigo”.
Il servizio religioso presso l’oratorio della villa è confermato fin dal 1765 con un sacerdote stabile, al cui mantenimento provvedevano i Nobili Corner.
Nel 1842 cambia di proprietà, passando ai Crestani e da questi ai fratelli Tasso, con i quali conosce una fase di abbandono. Solo col nuovo proprietario Leopoldo Maragno, nel 1885, nell’oratorio ritorna il culto alla B.V. del Rosario, con il beneficio spirituale degli abitanti. I figli, nel 1956, cedono l’oratorio al Vescovo di Adria e Rovigo per l’erigenda nuova Parrocchia.

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Mulino “al Pizzon”
Archeologia industriale molitoria e idraulica

La punta di confluenza, fra il fiume Scortico e il Canalbianco, in località Pizzon di Fratta, è un luogo del tutto singolare per paesaggio, architettura agricola ed archeologia industriale.
Come archeologia industriale, sono presenti due importanti manufatti: il primo è un grande mulino (mulinon), l’unico che funzionava ad acqua in una terra completamente piana come il Polesine, sfruttando il dislivello tra lo Scortico e il Canalbianco. Censito nel Catastico austriaco del 1841, fu costruito probabilmente nel XVIII secolo, ed è ora in fase di ristrutturazione con finalità ricettive.
Funzionante fino al 1962, conserva intatto l’imponente macchinario. Il secondo è una conca di navigazione, sostenuta da porte vinciane con finestre tuttora esistenti.
Tali conche sono la testimonianza di una delle prime idrovie polesane, impiantata a metà del XIX secolo e ripercorrente, a livello di trasporto industriale, la via d’acqua già percorsa dai nobili veneziani per arrivare nel ‘500 alle loro Ville di Fratta, tra cui le palladiane Badoer e Grimani Molin.

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